Negli anni Novanta era opinione diffusa che la caduta del muro di Berlino avesse decretato il trionfo della democrazia liberale e del capitalismo di mercato, cancellando l'ultima grande linea di demarcazione ideologica. Cominciava un'era di prosperità economica e di pace stabile, sotto l'egida dell'unica superpotenza planetaria rimasta: gli Stati Uniti.
In questo libro avvincente e di grande visione prospettica, Charles A. Kupchan mette in luce l'inadeguatezza e i rischi di tale convinzione, come peraltro gli eventi di questo inizio secolo stanno mostrando. La fine della Guerra fredda ha segnato paradossalmente non la vittoria definitiva dell'America, ma l'avvio del suo declino e un periodo di forte instabilità. La tesi controcorrente sostenuta da Kupchan è che l'attuale ordine internazionale non durerà a lungo. In questa direzione preme l'avversione interna degli USA nei confronti del gravoso compito di guardiano globale. Se la lotta al terrorismo dopo l'11 settembre ha sospeso la storica tendenza isolazionista americana, essa tuttavia è destinata a riacquistare vigore nel tempo. Ma la sfida all'egemonia di Washington non è costituita dall'estremismo islamico, che oggi sta assorbendo le energie della sua politica estera. Va piuttosto profilandosi un ritorno della rivalità tra i maggiori soggetti dello scacchiere mondiale, con l'ascesa della Cina, aggressiva nel suo sviluppo economico, e soprattutto con il processo di integrazione dell'Europa che, dopo decenni di partnership, si pone come concorrente di pari forza, non solo sotto il profilo economico, ma anche, in prospettiva non remota, sul piano geopolitico. L'amministrazione americana – avventuratasi con la guerra all'Iraq nel pericoloso vicolo cieco dell'azione unilaterale – non mostra finora adeguata consapevolezza dei movimenti carsici che, sotto un'illusoria superficie di stabilità, stanno trasformando il contesto globale.
Se si vogliono evitare rischiose derive, «la priorità americana dev'essere di preparare se stessa e il resto del mondo a questo futuro incerto. Gli Stati Uniti devono progettare ora, finché se lo possono permettere, una grande strategia per la transizione a un mondo fatto di molteplici centri di potere».