Il giorno dell’insediamento di Donald Trump al suo secondo mandato, la School of Global Politics di ASERI ha ospitato la conferenza Global Politics after the US Elections, con la partecipazione di G. John Ikenberry e Andrea Locatelli. L’evento è stato un’occasione per riflettere sul nuovo equilibrio internazionale e sulle implicazioni della rielezione di Trump per l’ordine globale. Il Direttore Damiano Palano ha sottolineato il contributo di Ikenberry alla teoria delle relazioni internazionali, in particolare rispetto alle trasformazioni dell’ordine liberale, e il suo legame di lunga data con ASERI.
Secondo Ikenberry, la rielezione di Trump non è un’anomalia, bensì il riflesso di una tendenza più profonda nella politica americana. Egli ha contestato l’interpretazione dominante che vedeva le elezioni del 2016 come una “distorsione del corso della storia”, sostenendo invece che Trump incarni una traiettoria radicata nella politica degli Stati Uniti. La sua visione transazionale del potere e lo scetticismo verso il multilateralismo non sono semplici deviazioni temporanee, ma indicatori della trasformazione strutturale dell’egemonia americana. L’imprevedibilità di Trump e la sua strategia basata sulla bad man theory rendono difficile anticiparne le mosse. Già nel suo primo mandato, le sue decisioni hanno minato il sistema multilaterale, come dimostrato dal ritiro dall’Accordo di Parigi e dalle minacce alla NATO. Ora, con il controllo del Congresso e una Corte Suprema favorevole, la sua amministrazione potrebbe assumere un carattere ancora più radicale, con effetti dirompenti sugli equilibri internazionali.
Tuttavia, sebbene Trump goda di una libertà d’azione senza precedenti, vincoli istituzionali e politici potrebbero limitare le sue mosse più estreme. Il concetto di policy feedback, come ha spiegato Ikenberry, suggerisce che la sostenibilità politica ed economica impone sempre un certo grado di realismo. Anche un presidente che sfida le convenzioni deve assicurare la stabilità del sistema, evitando azioni che ne compromettano le stesse condizioni di potere. Tuttavia, l’erosione delle istituzioni democratiche resta una fonte di instabilità, negli Stati Uniti come a livello globale. La delegittimazione della magistratura, della stampa e del sistema elettorale – perseguita da Trump nel primo mandato – ha indebolito i tradizionali meccanismi di bilanciamento del potere. Ciò rafforza la sua posizione nel breve termine, ma rischia di ritorcersi contro, minando la capacità di governo e accrescendo l’incertezza politica.
Il declino dell’ordine liberale è accompagnato dall’emergere di una nuova configurazione globale, caratterizzata da un sistema tripolare. Secondo Ikenberry, la competizione tra tre blocchi – l’Occidente globale (Stati Uniti ed Europa), l’Oriente globale (Cina, Russia e alleati) e il Sud globale (il mondo in via di sviluppo) – ridefinirà le dinamiche della governance internazionale. L’egemonia americana, che ha garantito stabilità per oltre settant’anni, appare sempre più fragile di fronte a queste trasformazioni. La crescente interdipendenza delle crisi globali, dalla geopolitica alla tecnologia, amplifica le vulnerabilità del sistema internazionale. Ikenberry ha introdotto il concetto di policrisi, sottolineando come cambiamento climatico, pandemie, tensioni geopolitiche e rivoluzione tecnologica non possano più essere affrontati in modo isolato. La competizione tra Stati Uniti e Cina non è più soltanto economica e militare, ma anche ideologica e tecnologica, con profonde implicazioni per la stabilità dell’ordine globale.
Il futuro dell’ordine liberale rimane incerto. Le tradizionali istituzioni multilaterali, dal G7 al G20, appaiono sempre meno efficaci, mentre gli Stati Uniti sembrano riluttanti a esercitare un ruolo di leadership. Tuttavia, secondo Ikenberry, il destino dell’ordine internazionale non è ancora segnato. Se le democrazie liberali vorranno evitare una frammentazione completa, dovranno ridefinire le strategie di cooperazione e rafforzare il loro impegno nella difesa dei principi democratici. L’ordine globale sta entrando in una fase di incertezza strutturale, in cui le regole del passato non bastano più a garantire stabilità e sicurezza. La rielezione di Trump potrebbe accelerare la disgregazione del sistema multilaterale, ma vincoli politici ed economici potrebbero limitarne gli effetti più estremi. In ogni caso, lo scenario internazionale è destinato a cambiare, e il futuro delle relazioni globali dipenderà dalla capacità degli attori internazionali di adattarsi alle nuove sfide.
Ikenberry delinea diversi scenari possibili per il futuro dell’ordine mondiale. Una possibilità è che il mondo tripolare si stabilizzi in un equilibrio precario, in cui nessun attore riesca ad affermare un chiaro predominio sugli altri. Una seconda ipotesi è che, conclusa la presidenza Trump, gli Stati Uniti tentino di rilanciare la propria leadership globale, anche se ciò richiederebbe un maggiore impegno verso il Sud globale. Infine, vi è il rischio che l’assenza di una leadership chiara conduca a una lunga fase di frammentazione e conflitto. In questa prospettiva, la capacità di offrire una narrazione convincente del futuro diventa un elemento cruciale. La leadership globale non sarà definita solo dalla potenza economica e militare, ma anche dalla capacità di proporre un modello di governance e una visione del mondo in grado di attrarre consenso.
Trump, tuttavia, potrebbe riservare ancora sorprese, dato il suo approccio transazionale e imprevedibile. Ikenberry sottolinea che, sebbene il presidente goda di un ampio margine di manovra, esistono limiti strutturali che condizioneranno le sue azioni. Il primo è il tempo: il mandato dura quattro anni, ma le elezioni di metà mandato potrebbero già mutare il contesto politico dopo due anni. Il secondo riguarda l’economia: politiche protezionistiche e guerre commerciali potrebbero avere ripercussioni negative sugli stessi Stati Uniti. Il terzo è legato a contraddizioni strategiche: Trump cerca di ridurre gli impegni internazionali, ma così facendo rischia di alienarsi alleati di cui continua ad avere bisogno.
In conclusione, il futuro della politica globale resta segnato da molte incertezze, non da ultimo per la possibilità di eventi imprevisti. Citando la celebre frase di Harold Macmillan – «Events, dear boy, events» – Ikenberry ricorda che variabili inattese potrebbero ridisegnare l’agenda internazionale nei prossimi anni, dando luogo a sviluppi difficilmente prevedibili, persino per l’attore politico più imprevedibile.