18 marzo 2025

Raccontare la guerra

di Lorenzo Cremonesi

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Nel contesto delle crescenti tensioni globali e della necessità di una comprensione più profonda dei conflitti, ASERI ha organizzato un incontro con Lorenzo Cremonesi, inviato speciale del Corriere della Sera, introdotto da Vittorio Emanuele Parsi e moderato da Damiano Palano, direttore di ASERI. L’evento rientrava nella rassegna “Raccontare la guerra”, dedicata alla narrazione dei conflitti, con l’obiettivo di offrire una riflessione critica sulle dinamiche belliche. L’intervento di Cremonesi si è concentrato non solo sui conflitti in Ucraina e Palestina, ma anche sul ruolo dell’informazione nel plasmare la percezione pubblica.

 

«La guerra non è un’eccezione ma una costante della storia», ha sottolineato Cremonesi, mettendo in discussione la percezione di un’epoca pacifica dopo la Guerra fredda. «Dopo la fine della Guerra fredda ci siamo illusi che l’era delle guerre fosse terminata», ha osservato, spiegando come numerosi conflitti latenti fossero stati rimossi dal dibattito pubblico occidentale per poi riemergere in scenari come l’Ucraina e il Medio Oriente. La sua esperienza diretta nelle zone di guerra gli ha permesso di evidenziare le dinamiche di lungo periodo che precedono ogni conflitto, spesso ignorate o sottovalutate da decisori politici e opinione pubblica.

 

La discussione ha affrontato il ritorno di una visione transazionale del potere, con particolare attenzione al potenziale impatto della rielezione di Donald Trump sull’ordine globale. «L’approccio di Trump, scettico verso il multilateralismo, segna una rottura con il passato», ha affermato Cremonesi. Se il leader statunitense dovesse nuovamente mettere in discussione la NATO e i rapporti con gli alleati europei, la sicurezza del continente ne risulterebbe fortemente indebolita. «Se gli Stati Uniti smettono di essere il garante delle democrazie liberali, quale sarà il destino dell’ordine internazionale?»

 

Le guerre moderne sono caratterizzate da un’evoluzione negli obiettivi e nei metodi di combattimento. «La guerra in Ucraina è stata inizialmente sottovalutata dagli stessi ucraini», ha spiegato Cremonesi, sottolineando come l’Occidente abbia faticato a comprendere la portata dell’invasione russa. «Non eravamo preparati ad accettarla, a capirla». La sua esperienza diretta nei teatri di guerra gli ha permesso di cogliere l’importanza di una risposta tempestiva e della necessità di una maggiore consapevolezza strategica da parte delle nazioni europee.

 

Un tema centrale della discussione è stato il fallimento delle politiche tradizionali di pace. «Gli Accordi di Oslo avrebbero potuto garantire una stabilità duratura in Medio Oriente, ma sono stati minati dall’espansione degli insediamenti israeliani e dall’ascesa dell’estremismo», ha dichiarato Cremonesi. Allo stesso modo, la politica di appeasement verso la Russia non ha impedito l’invasione dell’Ucraina; al contrario, ha incoraggiato le ambizioni imperiali di Mosca. «Piaccia o meno, la forza resta un elemento fondamentale nelle relazioni internazionali», ha ribadito.

 

Il dibattito si è soffermato anche sulla capacità dell’Unione Europea di sviluppare una politica estera e di difesa comune. «Senza l’abolizione del diritto di veto in materia di politica estera e di sicurezza, l’UE non diventerà mai un attore geopolitico credibile», ha sottolineato il professor Parsi. L’unica strada per costruire un’Europa più forte e coesa passa attraverso la creazione di una difesa comune, sostenuta da adeguati investimenti nelle capacità militari. «Senza un’Europa forte, con una visione condivisa, saremo sempre un continente in balìa degli eventi».

 

Infine, è stato analizzato il ruolo del giornalismo nei conflitti, soprattutto di fronte alla disinformazione. «Il giornalismo di guerra deve essere sul campo; altrimenti rischia di ridursi a mera propaganda», ha affermato Cremonesi. In un’epoca dominata dai social media e dalle fake news, la presenza diretta nelle zone di conflitto resta essenziale per comprendere la complessità delle guerre. «Senza giornalisti sul campo, la narrazione delle guerre resta nelle mani dei governi e dei gruppi di potere».

 

L’evento ha suscitato un vivace dibattito tra i partecipanti, lasciando una consapevolezza profonda: la guerra è una realtà con cui dobbiamo confrontarci. Ignorarla o fingere che non ci riguardi non fa che rinviare le scelte necessarie per affrontare un mondo sempre più instabile e frammentato. «La guerra non è una possibilità lontana: è già qui, e sta plasmando il nostro futuro».